Il dottor Nizzu - pineroloblues

Vai ai contenuti

LO STRETTO INDISPENSABILE

Da cinquant’anni pago i contributi al Servizio sanitario nazionale e per più di trent’anni ho avuto lo stesso medico. Per la maggior parte delle volte la sua prestazione non è andata oltre la compilazione di una ricetta, di cui facevo richiesta tramite la segretaria. Ci sono stati tuttavia alcuni momenti in cui avrei avuto bisogno di qualcosa di più, che purtroppo non c’è stato.  
 
Uno di questi momenti si è verificato nel settembre del 1992. Ero rientrata dal Nepal molto malata ed era stato un miracolo che fossi riuscita ad affrontare il viaggio di ritorno. Avevo la parte sinistra del viso paralizzata, le gengive viola, gonfie e sanguinanti, il palmo delle mani e la pianta dei piedi completamente insensibili, perdevo a manciate i capelli, che erano improvvisamente incanutiti. Avevo la febbre alta, la nausea, la diarrea ed attacchi di  tachicardia. Ero quasi sicura che la mia malattia fosse la conseguenza di una forte intossicazione da liquido infetto.

La sera prima della partenza, infatti, avevo bevuto un paio di sorsi di un liquore locale, offerto a me e a due americane, da un ragazzo nepalese che lavorava alla reception dell’hotel dove alloggiavo. Le due americane, molto saggiamente, non lo avevano toccato. Io, per non passare da maleducata a rifiutare un gesto gentile di Nirajan, ne avevo centellinato un po’. Mi ero resa conto sin da subito che era come bere arsenico, ma i suoi effetti si sono manifestati per intero verso le quattro del mattino dopo. Mi sono svegliata verso le 4 con un profondo senso di nausea. Era una sensazione intollerabile, stavo malissimo ed ero preoccupata di non riuscire a raggiungere l’aeroporto e di affrontare il lungo viaggio di ritorno, scali compresi. Quando ci penso adesso mi sembra un miracolo l’avercela fatta.

Appena arrivata a casa, mi sono messa a letto e ho chiamato il dottor Nizzu. Gli ho descritto i sintomi, anche se la cosa mi sembrava superflua, dato che il mio aspetto fisico rivelava pienamente le mie condizioni di salute. Il dottore mi ha subito detto non trattarsi di intossicazione, quanto piuttosto di una disfunzione tiroidea. Mi ha fatto il foglio per una visita dal dottor Mathieu, endocrinologo, che aveva lo studio in un paese su in valle, a diversi chilometri di distanza. E, prima di andarsene, come gesto di grande sollecitudine, mi ha lasciato una confezione di vitamina C. Il commento di mia madre è stato: “Ma non ha visto che sei moribonda? Come possono bastare poche pillole di vitamina?”
 
Infatti, più che la vitamina C sarebbe stato forse più indicato un ricovero in ospedale, ma così non è stato. In questo modo il ritorno a uno stato di salute accettabile ha richiesto molto tempo. Invece, mi sono fatta accompagnare, da questo endocrinologo, che, per ricompensarmi dello sforzo fatto per recarmi da lui – ero debolissima e quasi non mi reggevo in piedi - non era presente. al suo posto c’era la moglie, che mi ha fatta parzialmente spogliare e sdraiare su un lettino, prima di lanciarsi in una lunga conversazione con un’infermiera giunta nel frattempo. Quando finalmente si è decisa a dedicarmi un po’ di attenzione, ha eseguito una veloce palpazione, prima di prescrivermi delle pillole che, confesso, non ho mai preso perché secondo me la tiroide non c’entrava nulla.

Ho avuto conferma della cosa poco tempo dopo da un dottore specialista in malattie tropicali da cui ero andata a pagamento e che ha confermato la mia diagnosi. Responsabile della malattia era effettivamente l’acqua usata per preparare quella bevanda alcolica, nella quale erano sicuramente presenti dei microrganismi patogeni...   
P. S. Qualche anno dopo, mi è capitato di parlare brevemente con il dottor Nizzu di quella mia grave malattia. “E il dottore non ha saputo riconoscerla?” Sono rimasta di sasso. Io avevo rischiato di morire e lui aveva completamente dimenticato tutto. Ho forse torto ad aver perso fiducia nei medici?.

Ci sono altri episodi che mi sono rimasti impressi nella memoria. Il loro ricordo è forse favorito dal fatto che, per mia fortuna, vado dal medico non più di un paio di volte all’anno, quindi le cose che sono successe sono nitidamente impresse e sedimentate nella memoria. Una volta, il mignolo del piede destro mi si era arrossato ed era diventato gonfio. Il dottore lo ha guardato da una prudente distanza di più di un metro, per non rischiare eventuali contagi. Subito dopo, si è precipitato al lavandino per disinfettarsi le mani. Mi ha fatta sentire come un’appestata (incidentalmente, mi viene da chiedere: come si starà comportando in questi tempi di epidemia di coronavirus?).  

E’ successo più di una volta che abbia completamente sbagliato la ricetta. Mi era venuta quella che pensavo essere un’infiammazione dell’orecchio, almeno questa era la mia sensazione, dato il dolore che provavo. E invece no. Il dottor Nizzu, da dietro alla sua scrivania, ha stabilito trattarsi di un tappo di cerume. Di conseguenza, mi ha prescritto il Debrox. Per fortuna, a rimediare ai danni, c’era la brava farmacista, che mi ha chiesto: “Ha un tappo di cerume?” “Non penso -  le ho risposto  - deve trattarsi di qualcosa di diverso perché mi duole molto e un tappo di cerume non provocherebbe dolore. La scrupolosa farmacista ha chiesto ancora: “Ma il dottore ha fatto un controllo prima di fare la prescrizione?”. Mi è venuto da sorridere. Il dottor Nizzu non lascia mai la sua sedia alla scrivania, le pochissime volte in cui mi ha visitata, lo ha fatto dietro mia esplicita richiesta.  

Un’altra volta avevo lamentato un’irritazione alle parti intime – non c’era da stupirsi, dato che passavo almeno dodici ore seduta davanti al computer con una temperatura di 40° - e lui mi ha prescritto uno strano marchingegno per la lavanda vaginale… Ancora una volta la meravigliosa farmacista è venuta in mio aiuto, dandomi, al posto di quella strana cannula di cui non avevo alcun bisogno, una pomata miracolosa, che da allora porto sempre con me, soprattutto nei miei viaggi nei paesi tropicali.  
Era anche successo che avevo scoperto che il mio nome era stato cancellato dall’elenco dei pazienti del dottor Nizzu. Ah, se solo lo avessi preso come un segnale! Invece, in parte per incoscienza, in parte perché ero molto assorbita dal lavoro, che avevo messo in primo piano, e per questo ero spesso all’estero, non ho cambiato nulla...

Ci sono state altre quisquilie, come ad esempio quando mi aveva prescritto una Tac ed io, non sapendo dove si dovesse fare la prenotazione, glielo avevo chiesto. Lui mi ha confermato che la si faceva all’ufficio dove si facevano tutte le prenotazioni. E invece no! Dopo aver fatto più di un’ora di coda, mi è stato detto che avrei dovuto andare direttamente all’ospedale. Quando gliel’ho riferito, mi ha risposto: “Eh, ma non ci dicono mai nulla!”. Forse avrebbe dovuto fare lo sforzo di chiederlo, prima di dare un’informazione sbagliata e far perdere tempo a chi aveva diritto a un po’ più di impegno e attenzione…
 
Ma il peggio doveva ancora venire. Come ogni anno, andavo da lui per farmi iniettare il vaccino antinfluenzale, che acquistavo in farmacia. Mentre nel suo studio aspettavo seduta, con il braccio scoperto, il dottore mi ha detto che il contenitore che avrebbe dovuto contenere la fialetta era in realtà vuoto. La cosa mi senbrava inverosimile, era impossibile che in farmacia non si sarebbero accorti dal peso molto più leggero della scatolina se dentro non ci fosse stato nulla. Poi, ha guardato qua e là sulla scrivania e la fialetta non è saltata fuori. Gli ho detto allora di farmi quella che passava la mutua e che aveva in studio. Appena fatta la puntura, ha visto la mia fialetta sotto a un cumulo di fogli. Troppo tardi.

Pensavo che, avendo commesso uno sbaglio, provvedesse di sua iniziativa a rimborsarmi il costo della stessa. Non se lo sognava proprio! Allora gli ho fatto sommessamente presente che io avevo speso 9 euro in farmacia. Non l’avessi mai detto! Si è risentito, neanche avessi pronunciato chissà quale sproposito! Si è alzato, è andato a prendere una banconota da 20 euro nell’armadio e me l’ha porta con fare sprezzante, come se mi stesse facendo l’elemosina. Mi è sembrata una cosa inappropriata e del tutto fuori luogo ed ho rifiutato quei soldi. A quel punto, per non peggiorare le cose, vista la sua reazione stizzita e adirata, gli ho chiesto di darmi un campione di un qualche rimedio naturale. Mi ha dato una scatola di compresse che non ho mai usato, erano troppo associate ad un’esperienza. Il giorno stesso, però, sono andata a cambiare il medico.

Capisco che lui fosse molto più contento quando intascava 50 euro ogniqualvolta veniva a visitare mia madre, però bisogna sempre essere corretti, ammettere i propri sbagli e porvi rimedio senza far ricadere le conseguenze su chi è la vittima degli stessi.                                                         

 
 
  
Torna ai contenuti